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“La bellezza salverà il mondo”, così diceva Dostoevskij

Ad oggi, forse, la sua citazione è stata presa un pò troppo alla lettera. Sempre più spesso vediamo volti e corpi omologati, somiglianti, privi di caratteristiche uniche e senza timore di dirlo, di difetti.

Il mercato del fitness, dell’estetica, della cosmesi, sono in espansione continua a denuncia del fatto che sempre più persone investono sulla propria immagine in maniera talvolta ossessiva.

Ragazze di 20 anni preoccupate da rughe di espressione, cinquantenni che vogliono ritornare alla freschezza dei 20 anni, trentenni che ricorrono ai ripari in vista del declino.

La ricerca assoluta della bellezza è anche evidente da foto sempre più ritoccate e immagini prive di difetti, la perfezione è ricercata ad ogni costo.

Sembra che in pochi siano soddisfatti dell’età che hanno e che la ricerca sia quella di un’eterna età verde.

Se la chirurgia estetica ha dei notevoli vantaggi, perchè permette di ovviare a dei difetti estetici, insostenibili anche da un punto di vista emotivo e facilitare il nostro benessere, dall’altro lato non può essere considerata come una terapia psicologica, capace di infondere autostima.

Il fine di questo articolo non è valutare se la chirurgia estetica è negativa o positiva, perchè come ogni cosa deve essere utilizzata in modo equilibrato.

Tuttavia possono esserci persone che si presentano dal chirurgo estetico per ritoccare una parte del corpo, di cui non sono soddisfatte e una volta operate, guardarsi allo specchio e notare altri difetti da “aggiustare”, fino a ritrovarsi coinvolte in una spirale di interventi correttivi e relative frustrazioni. Una vera e propria scatola cinese.

Se è vero che il difetto è inesistente o comunque non evidente, la sofferenza di chi soffre di questa fobia è devastante, perchè sono immersi nella loro credenza e si sa, che “tutto ciò che è creduto è reale”.

Nel colloquio iniziale con il chirurgo, spesso non emerge questa particolare fobia ed il medico, senza rendersene conto, può intervenire su persone che soffrono di Dismorfofobia o che in seguito potrebbero svilupparla.

Studi recenti hanno dimostrato  che una percentuale di persone che va dal 5% al 53%, presenta questo disturbo, senza contare le relative cause legali avviate da parte di pazienti non soddisfatti che molto spesso non si “vedono belli”, nonostante il ritocco chirurgico.

Per ovviare a questo problema, da qualche anno, i centri clinici più all’avanguardia, prima di procedere a un intervento permanente o semi-permanente, fanno  una valutazione psicologica iniziale, che permetta al medico ed al paziente stesso, di comprendere se è davvero il caso di procedere oppure no.

La dismorfofobia si struttura secondo un meccanismo ossessivo-compulsivo che alimenta e rinforza il problema. La persona dismorfofobica ha una preoccupazione eccessiva di avere un difetto estetico, nel viso o nel corpo.

Le rassicurazioni di amici, parenti e medici non servono a nulla e il più delle volte vengono percepite dalla persona come delle “bugie” per cercare di tranquillizzarlo.

Nella maggioranza dei casi sono difetti minimi o inesistenti che tuttavia portano un disagio reale, al punto tale da creare problemi anche nelle relazioni sociali. In una situazione simile, la persona è portata a mettere in atto delle tentate soluzioni, che risultano disfunzionali:

  • Tentativo di mascherare il difetto in vari modi (capelli che coprono una parte del viso, make-up eccessivo, occhiali da sole, abiti coprenti anche in estate , ecc), al punto da attirare realmente l’attenzione su ciò che si vuole nascondere
  • Socializzazione del problema, cercando rassicurazioni con amici e parenti, invece di tranquillizzarsi,  ottengono l’effetto contrario. Si irrigidiscano sulla loro credenza, si sentono incompresi e si convincono che gli altri raccontino “bugie benevole” per calmarlo
  • Evitano situazioni sociali che porterebbero ad esporsi. Di conseguenza si isolano sempre di più
  • Correttivi chirurgici ed estetici a cui di solito segue un’insoddisfazione ulteriore che porta a ricorrere a ulteriori interventi

 

Alla luce di quanto esposto, risulta evidente che chi soffre di Dismorfofobia può recuperare una relazione positiva con la proprio immagine corporea, modificando la percezione che ha di se stesso e ottenere un cambiamento di prospettiva, solo se l’intervento passa prima dalla mente.

La Terapia Breve Strategica, in tempi brevi, attraverso manovre costruite ad hoc, permette di  percepire la propria realtà in modo differente e scardinare quelle tentate soluzioni, che non solo mantengono il problema ma addirittura lo peggiorano.

 

“Ogni nostro difetto, rovesciato su di sé, diventa una nostra virtù; purtroppo è vero anche il contrario”. (Giorgio Nardone)